ROVIGO – Il sugo finto (o povero) è fatto con tutti gli odori, il pomodoro, ecc., ma senza la carne. Un tempo, quando la carne la si vedeva con il binocolo, era l’unico condimento possibile. Il profumo complessivo che ne scaturiva, aiutava a farlo diventare “buono” quanto quello del ragù.
“Sugo finto” è anche il titolo della commedia in vernacolo romanesco che ha brillantemente inaugurato, mercoledì 1 agosto, la XIX edizione della rassegna Teatro delle Regioni, organizzata dal Gruppo teatrale “Il Mosaico” con il contributo del Comune di Rovigo, della Fondazione Rovigo Cultura e di RovigoBanca e con il patrocinio della Provincia di Rovigo e della Regione Veneto.
Lo spettacolo, portato in scena dalla compagnia “La Bottega dei RebArdò” di Roma, più che celebrare ricette e gusti d’altri tempi, appare un pretesto per esplorare e dipanare questioni più complesse fatte di una situazione familiare compromessa, una convivenza difficile e rapporti interpersonali esplosivi.
L’allestimento scenico riesce a ben caratterizzare l’ambiente, volutamente angusto e dimesso, nel quale si consuma la logorante quotidianità delle due protagoniste: un vecchio soggiorno, un tavolo traballante, una credenza i cui cassetti custodiscono decenni di piccoli segreti, un divano sdrucito e malmesso.
Rosaria e Addolorata sono sorelle, zitelle e sciancate, proprietarie nella capitale di una piccola merceria che rischia la chiusura, come tanti altri piccoli negozi, a causa dell’invasione dei cinesi. Insieme a lavoro, insieme a casa, divise da un’incomunicabilità che sembra irrisolvibile. Il simbolo della loro spenta vita diventa proprio quel “sugo finto” posticcio che Rosaria, parsimoniosa e oculata all’inverosimile, impone per i suoi pasti e per quelli della sorella Addolorata.
La contrapposizione tra due modi diversi di vedere la vita – la maggiore assennata e risparmiatrice, la minore protesa verso l’appagamento di piccoli desideri materiali – questa lotta continua nell’arena domestica, si riducono alla frustrazione di una solitudine senza pari.
Le due sorelle, offese da una natura ingenerosa, trascorrono la propria esistenza in un continuo ed esilarante scambio di accuse reciproche. Un battibecco infinito che non conosce sosta. Mentre Rosaria, severa, resta immune ai richiami lusinghieri e ingannevoli della società della tv e della globalizzazione, Addolorata godrebbe volentieri di qualche piccolo piacere della vita. Ma la sua spontaneità è tarpata dall’autoritaria sorella.
Rosaria domina, Addolorata subisce. Finché un giorno Rosaria viene colpita da un ictus. Gravemente menomata è assistita da Addolorata, che finalmente può vendicarsi dei soprusi subiti per tutta la vita da parte della sorella.
Succube fino a quel momento, Addolorata inizia a vivere secondo il suo modo. Racconta quotidianamente, all’immobile e muta Rosaris, le sue azioni sconsiderate e di come sta dilapidando il cospicuo piccolo tesoro accumulato in banca, in anni di risparmi e lavoro.
Rosaria assiste a denti stretti, immobile e impotente sulla sua sedia, al disfacimento di tutti i suoi dettami. L’unica arma di ribellione che le resta è smettere di mangiare e bere: un ricatto con il quale, alla fine e nonostante tutto, ancora una volta avrà la meglio.
Addolorata, infatti, vedendo Rosaria allo stremo delle forze, capisce che le rimane una sola strada: l’ennesima resa. Ormai non può più fare a meno della presenza dell’altra, la sua vita non avrebbe più senso, ed è per questo che torna sui suoi passi e china la testa di fronte all’inespressiva sorella.
Uno svelto guizzo della lingua di Rosaria, che attinge nel cucchiaio di minestra portole da Addolorata, è il suo definitivo, muto grido di vittoria.
Il pubblico presente nel chiostro del Monastero degli Olivetani ha così potuto assistere a una commedia vivace e profonda. Addolorata e Rosaria sono apparse come due donne assolutamente riconoscibili e reali, di quelle che incontriamo spesso nel corso della nostra vita. Sono le frange più appartate delle nostre famiglie, quelle delle case cupe e stantie, quelle che, a torto o ragione, rifiutano di evolversi e seguire il flusso dei cambiamenti. Sono due donne che vivono proprio lì, dietro l’angolo.
A ben vedere il testo di Gianni Clementi, un autore tra i più apprezzati del teatro contemporaneo italiano, apre una finestra su due vite veramente agonizzanti, specchio di una società, come la nostra, sempre più portata a rinchiudersi a riccio. Tuttavia, lo spettacolo risulta di una comicità irresistibile e ormai rara. Lo stile è quello della vecchia tradizione italiana dei battibecchi infiniti, dei tempi comici ben calcolati e dei giochetti semplici che, se ben fatti, fanno ridere di gusto.
La commedia è deliziosa, riesce a coinvolgere e divertire il pubblico per l’intera durata dello spettacolo, tenendo fede a un testo semplice e scorrevole, caratterizzato dalla pungente ingenuità dei dialoghi.
Lo spettacolo riesce a divertire ma anche a commuovere e a far riflettere. È difficile poter dire quanta amarezza possa contenere una situazione comica, così come l’umorismo, pur facendo sorridere, è sempre attraversato da un pesante velo di tristezza.
Gli applausi, comunque, sgorgano spontanei da parte del numeroso pubblico presente ad ogni chiusura di scena, sia essa quella degli incalzanti botta e risposta comici, sia quella commovente per le silenziose sofferenze di Rosaria e Addolorata.
“La Bottega dei RebArdò”, compagnia che già lo scorso anno aveva ben impressionato il pubblico rodigino con “Ben Hur” (altra celebre pièce che porta la firma infallibile di Gianni Clementi), si è presentata anche quest’anno al Teatro delle Regioni con uno spettacolo perfettamente confezionato e rifinito in ogni sua parte.
Antonella Rebecchi, nel ruolo di Rosaria, e Stefania Giayvia, nel ruolo di Addolorata, sono state le straordinarie protagoniste di questa storia e, riuscendo a esaltarne l’incalzante comicità, ma anche la struggente malinconia, hanno dato prova di essere due autentiche attrici di razza.
Guidate dall’attenta regia di Enzo Ardone, entrambe hanno calcato con sicurezza e grande affiatamento il palcoscenico, riuscendo a costruire con incredibile realismo uno spaccato che in molti potranno dire di riconoscere.
Le due attrici, nel proporre al pubblico una serie di profonde riflessioni sull’umana esistenza, grazie alla loro impareggiabile verve comica sono riuscite a regalare più di un sorriso, facendo trascorrere due ore di sano divertimento.
Le tre chiamate al proscenio non sono state sufficienti ad esaurire gli applausi finali che il pubblico ha dedicato alle due attrici che, in questa prova, hanno colto nel segno tutti gli obbiettivi che uno spettacolo può desiderare: contenuti, risate, bravura, fluidità, commozione, riflessione.