ROVIGO – Tutto esaurito al Teatro delle Regioni per la rappresentazione di «La strana storia del Dr. Jekyll & Mr. Hyde» di Benoit Roland e Roberto Zamengo, portata in scena lo scorso mercoledì 8 agosto dalla compagnia Teatroimmagine di Salzano (Venezia). Una bella serata di teatro, fatto da indiscutibili professionisti, che ha deliziato gli spettatori i quali hanno apprezzato l’esibizione godendosi uno spettacolo di sano divertimento.
Anche questo terzo appuntamento, dei cinque che compongono il festival, ha dunque registrato un meritato successo di pubblico. La XIX edizione della rassegna Teatro delle Regioni, voluta con caparbietà e decisione del Gruppo teatrale “Il Mosaico” e dal suo direttore artistico Emilio Zenato, realizzata grazie al contributo del Comune di Rovigo, della Fondazione Rovigo Cultura e di RovigoBanca, con il patrocinio della Provincia di Rovigo e della Regione Veneto, giunge così al suo giro di boa. E bisogna dire che tante speranze non sono andate disattese visto il grande pubblico che ha gremito sinora il chiostro degli Olivetani. Merito soprattutto di un programma che è il risultato di un’accurata opera di selezione tra le più interessanti proposte presenti nel variegato panorama del teatro amatoriale italiano.
«La strana storia del dottor Jekyll e Mr. Hyde» è tratta dal famoso romanzo del 1886 “Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde” dello scrittore scozzese Robert Louis Stevenson. Nel romanzo tardo ottocentesco di Stevenson, che colpisce innanzitutto per la trama avvincente e per un genere misto fra giallo, noir, thriller d’azione e racconto del mistero e del terrore, viene evidenziato in maniera molto significativa quel naturale “sdoppiamento” che caratterizza ed è presente in ogni essere umano e che si configura come una rottura dell’integrità della persona, come la scissione del Bene dal Male e, in definitiva, come lo “sdoppiamento” della stessa coscienza umana.
Il racconto, che ha avuto innumerevoli versioni teatrali, cinematografiche e a fumetti, oltre a numerose parodie, è diventato nella scoppiettante rilettura di Benoit Roland e Roberto Zamengo uno spettacolo giocoso, unico, originale e assolutamente da vedere.
A portarlo in scena è stata la Compagnia Teatroimmagine di Salzano (Ve), impegnata da quasi trent’anni a fare commedia dell’arte. Il gruppo si caratterizza, infatti, per lo studio continuo delle metodiche dell’improvvisazione e interpretazione dei canovacci storicamente tramandati, le pantomime e l’uso delle maschere. Una compagnia che conta una quindicina di persone tra attori e tecnici, sempre più richiesta in Italia e anche all’estero.
La trasposizione portata in scena non replica esattamente il romanzo, ma diviene un libero adattamento in grado di offrire il pretesto per immaginare nuove situazioni, per parlare di temi attuali, per giocare e per divertirsi con il pubblico. L’atmosfera londinese con gli odori del Tamigi, le luci dei lampioni, la nebbia imperante sono mutate da Benoit e Zamegno in immagini di Venezia, con le sue calli, l’acqua dei canali, il torpore delle luci dei palazzi e dei campielli. L’ambientazione nella città lagunare risulta perfetta per l’adattamento dei personaggi all’uso della commedia dell’arte.
Ne è venuto fuori un allestimento ricco di umorismo, pieno di colori, di trovate intelligenti e di notevole fantasia (meravigliosi i palloncini/calcoli di una surreale operazione chirurgica, la rana di Galvani, la pila di Volta, trasformata all’occasione in un moderno defibrillatore, o il grammofono/imbuto che sulle note di Leonard Cohen invita al ballo e schiude un fiorellone con un pistillo/palla luci da discoteca).
Tuttavia, mentre Stevenson appare affascinato dall’analisi del male, dalla perversione e delle ambiguità dell’animo umano, nella versione presentata da Benoit e Zamengo tutto è imperniato sul contrario del carattere dei personaggi, sull’antinomia e sull’opposto.
Così i quattro attori, preservando l’ambivalenza dataci dal romanzo originale, sono di volta in volta il Dr. Jacopo e Miss Heidy (Ruggero Fiorese), Pantalone e Fontego il servo del dottore (Roberto Zamengo), Lucilla figlia di Pantalone e Teodolinda la governante del dottore (Claudia Leonardi), Ottone figlio del dottore e Tellurio (Daniele Baron Toaldo).
Semplice la trama. Il Dr. Jacopo ha un figlio di nome Ottone, che umilia ogni volta che può. Lo ritiene un buono a nulla e lo mantiene in un vero stato di soggezione a cui Ottone non sa sottrarsi; in verità lo fa solo quando diventa il feroce Tellurio. Il dottor Jacopo è convinto di avere inventato una pozione, quasi magica, una panacea per tutti i mali, la “ Jacopina” di cui si vanta. Ed ecco che il romanzo dello scrittore scozzese diventa solo uno spunto, per imbastire, in una Venezia dei nostri tempi, una rivisitazione delle antinomie che ognuno di noi si porta dentro e delle quali solo raramente e in modo talvolta, molto occasionale, si riesce ad averne piena consapevolezza. Prendono corpo sulla scena, i doppi e cioè il dottore e la sua alter ego, Miss Heidy, Pantalone e il servo Fontego, la fidanzata Lucilla e la paciosa Teodolinda, il geniale Ottone e il mascalzone Tellurio. Il primo, il Dr. Jacopo, tutto, boria e cieca presunzione, che non si risparmia di gettare rancore in faccia al figlio Ottone, si scopre che lo fa per allontanare da sé, la sua femminilità ingenua e repressa, ma tanto ben espressa da miss Haidi. La genialità di Ottone, invece, sempre repressa, non trova di meglio che trasformarsi in violenza per veder affermata la sua personalità, mentre il carattere forte, deciso e liberale di Lucilla si riduce nell’osservante serva paciosa, Teodolinda. Tanto furbo e scaltro Pantalone per mutarsi, nel suo doppio, remissivo, tonto e sciocco servitore Fontego.
Con i ruoli ben precisi e il viso ricoperto da maschere solide ed anche espressive, nella loro fissità, tutte le coppie provano a parlare dei difetti della società che li circonda e delle problematiche eterne e fastidiose che animano l’esistenza. Ognuno dopo aver scoperto il proprio doppio e averci fatto i conti, si ritrova nel finale che giunge chiarificatore e risolutivo, mettendo d’accordo tutte le parti, tanto da goderne la felice conclusione.
Quasi due ore di spettacolo che hanno visto il pubblico non annoiarsi mai. Gli attori si sono mossi sul palco in maniera giocosa come solo la commedia dell’arte e le sue maschere possono fare. Tra costumi bellissimi (a cura di Antonia Munaretti), con un fondale dal carattere metafisico e quattro pannelli, con lo stesso stile, evocanti il Rialto e il dedalo di calle, sottoporteghi e spiazzi tipici veneziani (di Ilenia Pellizzaro), l’efficace disegno delle luci (curate da Lorenzo Riello, Francesco Bertolini), i quattro attori hanno interpretato, senza un attimo di cedimento, a un ritmo serratissimo, il loro personaggio e il suo contrario, riuscendo a caratterizzarli in modo perfetto.
La scenografia semplice e funzionale per i tanti colpi di scena, ha contrastato molto bene con gli abiti e le maschere proprie di Venezia. Il resto lo ha aggiunto il recitato gustosamente in vernacolo.
Un risultato esilarante garantito sia dalla bravura degli interpreti, messa in luce da una regia senza sbavature, sia dalla fluidità della vicenda che ha giocato, come da manuale su equivoci, sulle contrapposizioni tra giovani (a viso scoperto) e vecchi (mascherati), tra padroni e servitori, sui cambi di registro per differenziare i vari personaggi, sulle posture studiate per caratterizzare le diverse nature, su cambi di prospettiva (la stessa giornata è stata inscenata da due diversi punti di vista), su accenni alla contemporaneità, su intervalli inattesi di canto corale, accennati passi di danza e leggere pantomime, a dimostrazione che attraverso il linguaggio fisico e vocale dei personaggi in maschera e un buon canovaccio, dove forse non sono estranei momenti di improvvisazione, tuttora si riscaldano platee teatrali in ogni luogo.
A tutti loro è andato il plauso convinto di tutto il pubblico presente e, a fine spettacolo, sono applausi, applausi, applausi…