ROVIGO – Si è registrato il tutto esaurito per “Il malato immaginario” di Molière andato in scena domenica 12 agosto scorso, nella splendida cornice del Monastero degli Olivetani. Risate e applausi meritati hanno premiato il Gruppo teatrale Il Mosaico a conclusione di quello che era il quarto appuntamento della XIX edizione della rassegna Teatro delle Regioni, organizzata dalla stessa compagnia rodigina, con il contributo del Comune di Rovigo, della Fondazione Rovigo Cultura, di ASM e RovigoBanca, e con il patrocinio della Provincia di Rovigo e della Regione Veneto.
Il numerosissimo pubblico presente nel chiostro si è molto divertito ad assistere alla riproposizione di quello che è ritenuto da molti il capolavoro assoluto del teatro di Molière.
A dire il vero c’era molta attesa per questo allestimento presentato a circa dieci anni di distanza dall’ultimo.
A rimettere in scena l’opera, già favorevolmente accolta nell’edizione 2007 del Teatro delle Regioni, del vecchio cast è rimasto solo Emilio Zenato. Il resto della compagnia è composto da nuovi attori, segno evidente di una vitalità e di un dinamismo mai assopiti per quella che rimane la più “vecchia bottega” di teatro amatoriale della nostra città.
Ebbene, tutto cambia, pur rimanendo uguale a se stesso. Uguali a 10 anni fa restano i costumi e le scene, sempre molto curate, uguale il nome che firma sapientemente la regia, quello di Emilio Zenato. Eppure, ad una più attenta osservazione, non è difficile scorgere i cambiamenti che, esulando dall’ovvia variazione del cast, si scorgono nelle dinamiche tra gli attori, fresche e spigliate, e nella resa scenica di una commedia che non è poi così distante da noi in quanto a tematiche affrontate.
Chi non si è mai scoperto ipocondriaco? Chi non ha poi gioito della ritrovata vitalità, compresi gli assetti giusti e i veri affetti? L’avidità spesso va a braccetto con la cialtroneria e chi è più vulnerabile ne resta soggiogato, pagandone le spese. Una fotografia amara quella di Molière, che in questa sua ultima commedia, malato grave egli stesso, pose più che mai l’accento sulla sofferenza del malato che si somma a un dolore forse più acuto, quello per una società bugiarda che non vuole riconoscere le proprie brutture, le proprie “malattie”: la corruzione, che non risparmia neppure gli uomini di legge, e la presuntuosa ignoranza di chi dovrebbe invece proteggere e curare la nostra salute. Molière è fine maestro in questo, e il gruppo teatrale “Il Mosaico”, sotto la regia dell’esperto Emilio Zenato, ne ha dato una versione godibilissima.
La scena, che rimarrà fissa per tutto il tempo della rappresentazione, la troviamo già sul palco: al centro una poltrona di velluto nero, trono da cui Argante eserciterà il proprio effimero potere, attorno alla quale ruota tutta la pièce, così come le traiettorie diagonali percorse dagli altri attori; sul fondo il gabinetto privato del protagonista, reso ben evidente dal suo intenso colore sangue di piccione, e alcuni tavolini in legno, su cui sono posizionati i libri e tutti gli amuleti, responsabili di curare un illusorio male fisico, ma che nulla possono contro il reale male invisibile di cui soffre il protagonista; intorno delle sedie e sgabelli in legno che saranno di volta in volta utilizzate dai personaggi che si avvicenderanno attorno al “malato”; infine tre belle pareti che lasciano intravedere il benessere raggiunto da Argante.
Un inchino alla bellezza dei costumi di scena che, ispirati alla “comédie française” e alla “commedia dell’arte”, hanno aiutato a catapultare gli spettatori nella Parigi del 1500.
La denuncia corre sui binari della semplicità, quella di una donna incolta come la fidata domestica Antonietta (Roberta Casetta), che argutamente saprà smascherare ogni artificio della padrona di casa, Belina (Elisa Bedendo), ignobile seconda moglie di Argante (Emilio Zenato), malato immaginario. Ma bando pure alle purghe e ai clisteri, macchinosamente prescritti dai due medici (in)curanti Dott. Purgone (Fabio Valerio Raminella) e Tommaso Diafoirus (Antonio Spolaore). Ciò che è davvero tossico sparirà di fronte al trionfo del vero, del genuino e, chiaramente, dell’amore disinteressato come quello che Angelica (Silvia Visentin), bella primogenita di Argante, può finalmente vivere con il suo Cleante (Michele Galenda), che ha solo un grande sogno: sposarla e prendersi cura di lei per il resto dei loro giorni.
La storia, nota a tutti, si dipana attraverso una serie di battute e di espedienti che riveleranno ben presto la reale natura di Argante, buono e raggirato, incapace di prendere decisioni e plagiato dalle forti personalità che gli sono accanto: dalla seconda giovane moglie Belina, intenta ad abbindolarlo per usucapirne denaro e proprietà, fino alla serva e governante Tonina, che cerca di aprirgli gli occhi e riportarlo sulla strada della lucidità, determinata e dinamica quanto Argante è succube ed immobile nel suo stato di perenne malato.
Alla fine, la serva e la figlia aiuteranno Argante a trovare la giusta strada per convivere con la propria “incurabile” ipocondria: diventare medico di sé stesso. Ed è sull’immagine del protagonista, in proscenio, mentre si auto-visita con leggeri colpetti dell’indice sul petto, che si chiude una bella recita che abbraccia e congiunge, allo stesso tempo, tradizione con modernità.
Ne è uscita una commedia di altri tempi, che, al di là della morale del bene che vince sul male, insegna che non è mai troppo tardi per riuscire a cambiare, per riuscire a trovare una buona scusa per vivere.
Splendide sia l’interpretazione farsesca data da Emilio Zenato all’ipocondriaco Argante, perfetto nella mimica e nell’espressività, in un continuo gioco di ammiccamenti e di empatia con il pubblico, sia di Roberta Casetta nel suo naturale continuo passaggio tra toni teatrali, spontaneità e fluido umorismo. Ma a ben vedere è tutta la compagnia del Mosaico a brillare; con Antonio Spolaore e Fabio Valerio Raminella, esilaranti nei loro toni macchiettistici e volutamente sopra le righe, e con l’ottima prova di Elisa Bedendo, Silvia Visentin e Michele Galenda.
Il grande affiatamento del gruppo ha costituito indubbiamente uno dei punti di forza di una messinscena sapientemente orchestrata e calibrata sull’indiscussa bravura di tutta la compagine attoriale. Una rilettura la loro che, fluttuando in uno spazio onirico, irreale, quasi un luogo della mente, è senza dubbio destinata a non passare inosservata.
Una gran bella prova attoriale, apprezzata dal caloroso pubblico con numerosi applausi senza dubbio ben meritati.