Il professor Aldo Tiberto ci ha lasciati qualche giorno fa improvvisamente. Apprezzato insegnante dell’Istituto per geometri Bernini di Rovigo e straordinario docente dello storico Istituto Leopardi della città capoluogo, per il recupero degli studenti in difficoltà scolastiche. Era esperto di materie scientifiche e tecniche, matematica finanziaria, tecnologia delle costruzioni, disegno tecnico, estimo, topografia, ma non mancava – durante le sue gustose lezioni – di collegarle con la filosofia e la letteratura. Come suo studente sono stato ispirato in un momento di mio disorientamento adolescenziale e a lui devo un cambio di marcia che mi ha rilanciato definitivamente negli studi. Se successivamente mi sono specializzato e sono diventato un docente universitario nelle scienze dell’educazione devo riconoscere di aver ricevuto da lui la scintilla del ricercatore. Mi affascinava tantissimo il suo entusiasmo per le centinaia di giovani che non sapevano trovare la propria strada nel campo degli studi e che lui ha aiutato efficacemente.
Non si può dimenticare la sua passione per la fotografia come arte di ricerca della bellezza in tutte le sue forme, ma anche come tecnologia della meccanica di precisione e dell’ottica di qualità. Era infatti ricercatissimo per le sue rare competenze di riparatore di macchine fotografiche.
«Ha ispirato tantissimo anche me – mi ha appena confidato al telefono un commosso Rodolfo Corsato, anche lui suo studente nella Rovigo degli anni Ottanta ed oggi conosciuto attore di cinema e teatro – perché sapeva trasmettere il suo amore per la conoscenza a tutti i giovani sollecitando la curiosità per le scoperte scientifiche e la motivazione ad approfondire. E poi era simpaticissimo».
Una ventina d’anni fa il prof. Tiberto ricevette una Laurea ad Honorem da un’università statunitense per aver ispirato una nuova linea di ricerca nel campo della fisica delle onde sonore nella tecnologia di costruzione dei ponti in acciaio e cemento armato. Non andò a ritirarla perché a quel tempo faceva assistenza al papà invalido, ma anche perché – come Giacomo Leopardi che tanto apprezzava – rifuggiva dalle occasioni mondane ed effimere e non amava far parlare di sé. Non si preoccupava di essere incompreso. Era infatti una persona rara che viveva da sola e amava la solitudine, il silenzio e la contemplazione.
Negli ultimi anni era molto deluso dal declino culturale e sociale del nostro paese “che sta perdendo la dimensione della solidarietà, della gentilezza, della bellezza, del rispetto e sta perdendo la memoria delle proprie origini povere, disprezzando lo straniero ed il più debole” mi diceva.
La sua profonda spiritualità era infatti unita ad una verve mordace eccellente, ma polemica nei confronti della grettezza, dell’aggressività e dell’ignoranza. Grazie per i tuoi insegnamenti caro e dolce passero solitario “cantando vai finché non more il giorno”.
Dario Fortin