Adria (RO) – La città etrusca rientra tra le 90 città mondiali che brillano grazie alla street art, la nuova forma d’arte di strada che sta cambiando il volto delle nostre città. La città ora ospita anche una delle più belle opere d’arte urbana del 2022.
Sono 7 gli artisti italiani in lizza tra i 100 in concorso per il Best Street Art Awards 2022, il premio internazionale dedicato alla street art indetto dalla piattaforma Street Art Cities che, per questa edizione, ha selezionato le opere di artisti in ben 90 città di 30 Paesi del mondo.
Un viaggio tra i murales di Lisbona, Las Vegas, Belfast, Briançon passando per Buenos Aires, Rottendarm e Tirana fra le altre, che in Italia ha fatto tappa, oltre ad Adria in Veneto, a Taranto in Puglia, a San Pietro Magisano in Calabria, a Uras in Sardegna, a Mantova in Lombardia e, in Sicilia, a Cefalù e a Palermo.
L’opera adriese è stata realizzata grazie al festival itinerante DeltArte – il Delta della creatività, che da 10 anni sta cambiando il volto delle periferie urbane grazie al lavoro attento della curatrice e storica dell’arte Melania Ruggini.
La tematica della X edizione “Fai fiorire la tua unicità” è stata l’occasione per invitare l’artista di fama internazionale Vera Bugatti, nota per i suoi dipinti tridimensionali dove le donne giocano un ruolo chiave.
Il murale, che si intitola “Riflettere ancora”, sorge in un quartiere popolare, Borgo XXV Luglio, sulla grande facciata di un condomino abitato per lo più da anziani.
Come spiega l’artista: «Servono anni per accettare completamente la nostra unicità come risorsa. È risaputo quanto sia confortante il sentirsi simili agli altri. Per certi aspetti in fondo la diversità non esclude la somiglianza ma spesso si rifugge dal primo aspetto per adagiarsi in una zona confortevole e stereotipata, che mette meno in gioco. L’omologazione culturale e la difficoltà di reperire modelli identitari di riferimento rappresentano fattori di disagio psico-relazionale, soprattutto negli adolescenti. Lo standard snatura e forza l’essenza della persona mentre l’unicità autentica rende possibile l’arricchimento reciproco e fa nascere sinergie».
Nell’opera campeggiano due figure femminili, incassate in uno spazio angusto. Al centro una giovane donna con uno specchio in mano e lo sguardo titubante diretto all’osservatore. In primo piano una bambina con una vecchia sciarpa intenta a osservare lo specchio e i suoi riflessi. In alto un canarino posato sulle dita della donna, anch’esso incuriosito dallo specchio, in basso una mela e un biglietto, fra le mani della bambina.
Le due figure potrebbero essere la stessa persona, in fondo, in due fasi della vita. Nello specchio la chiave di lettura: chi vediamo realmente attraverso vari e multiformi schermi riflettenti?
Se l’apparenza continua ad essere schiavitù (soprattutto femminile), cosa resta davvero delle nostre unicità? Cosa è sinceramente profondo, se il contenuto diventa un’eco flebile dell’immagine? Riflettere in fondo ha molteplici significati: è rimandare indietro la luce ma anche costituire una ripercussione, una conseguenza o un effetto, medesimamente continuare, essere l’esito, rivolgere la mente su un oggetto del pensiero e soprattutto riconsiderarlo con attenzione. Nella mela un simbolo plurisignificante di redenzione e perdizione, spiritualità e vanità ma anche memoria di un tempo di difficoltà economiche e sacrifici che segnò il luogo che ospita la mia opera.
Il foglietto tra le mani della bimba rimanda infatti al quartiere popolare sorto lungo l’antica strada arginale detta Cengiaretto, che nel 1943, in seguito alla caduta del fascismo, fu rinominato Borgo XXV luglio. «La vicenda mi ha fatto ripensare alla libertà riconquistata con la liberazione che era anche possibilità di dissentire, di esprimere opinioni diverse da quelle di un regime, diritto mai scontato e che spesso rischiamo di sottovalutare».