ROVIGO – Parte la raccolta pomodoro con il rischio di un calo dei chili previsti a causa del maltempo e dei fenomeni climatici avversi. Ma mentre il nostro Paese si appresta a raccogliere uno dei suoi prodotti d’eccellenza, si assiste al balzo del +50% delle importazioni di concentrato di pomodoro cinese che costa la metà di quello tricolore grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e della minoranza musulmana degli Uiguri nello Xinjiang.
È quanto denunciano Coldiretti e Filiera Italia sulla base dei dati del World Processing Tomato Council. Il concentrato di pomodoro cinese rappresenta un altro esempio delle produzioni importate e ottenute dalla violazione dei diritti umani. Per questo, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, Ettore Prandini presidente Coldiretti e Luigi Scordamaglia di Filiera Italia chiedono che l’Italia si faccia portavoce presso la Commissione europea della richiesta di divieto assoluto di importazione di concentrato di pomodoro cinese, soprattutto se proveniente dalla regione dello Xinjiang.
In Italia sono circa 70mila gli ettari coltivati a pomodoro da salsa e il comparto del pomodoro mette in moto, in Italia, una filiera di eccellenza del Made in Italy che coinvolge circa 7.000 imprese agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e 10.000 addetti, per un fatturato totale che lo scorso anno ha raggiunto i 4,4 miliardi di euro. Fino allo scorso anno l’Italia era il secondo produttore mondiale di pomodoro dopo la California, quest’anno scende al terzo posto scalzata dalla Cina, un Paese però che genera concorrenza sleale.
«Il pomodoro è un ingrediente fondamentale della nostra cucina e della tradizione, oltre che una coltura presenta anche nella nostra provincia – commenta il presidente Carlo Salvan –Quest’anno il trapianto è avvenuto tardi a causa del clima instabile, a questo si sono aggiunti l’aumento dei prodotti energetici e delle materie prime che si riflette sui costi di produzione del pomodoro superiori del 30% rispetto alle medie storiche, anche per il caro carburanti e il gap delle infrastrutture logistiche di trasporto. Tutto questo però non cambia il prezzo corrisposto agli agricoltori».
«Il pomodoro – prosegue Salvan – agli agricoltori viene pagato solo fra i 15 e i 17 centesimi al chilo. Ma, guardiamo un esempio generico: per una bottiglia di passata da 700 ml in vendita mediamente a 1,6 euro solo il 9,4% riguarda il valore riconosciuto al pomodoro in campo, mentre il 90,6% del prezzo è il margine della distribuzione commerciale, i costi di produzione industriali, il costo della bottiglia, dei trasporti, il tappo, l’etichetta e la pubblicità. A tutto questo si aggiunge la beffa dell’importazione di pomodoro da Paesi dove c’è sfruttamento di manovalanza e di cui non sappiamo nulla sulle metodologie di lavorazione; giusto che l’Italia tuteli le sue produzioni e i produttori, anche per un concetto di sicurezza alimentare oltre che etica».