ROVIGO – I giovanissimi attori polesani hanno superato brillantemente la prova con la parola di Dante. Successo e due serate di sold out per “L’Inferno dei ragazzi”, la fase di chiusura di una parte del Progetto “Per chi crea”, un’attività formativa e laboratoriale, bandita dalla Siae, Società Italiana degli Autori ed Editori, che ha scelto il liceo Paleocapa come capofila, assieme al Teatro del Lemming, per una serie di attività che coinvolgono anche altri istituti superiori della città, il Viola Marchesini e il Liceo Celio Roccati.
Sabato 27 e domenica 28 aprile alle 18, un Teatro Studio gremito ha ospitato lo studio finale del laboratorio curato da Diana Ferrantini e rivolto a 25 studenti. La loro rappresentazione, con regia e musica di Massimo Munaro, ha proposto il primo e il quinto canto dell’Inferno dantesco. Le parole grevi e immortali con cui Dante annuncia lo smarrimento proprio e universale, che mette a rischio la salvezza eterna, sono risuonate come macigni, alternando diverse forme espressive: dal grido al sussurro, dalla pronuncia dei singoli fino a quella corale.
I corpi si sono trasformati in anime dannate, in un turbinio pulsante, in tormento percepibile con tutti i sensi, che ha scaraventato anche il pubblico in un caleidoscopio di emozioni. Senza l’ausilio di alcun oggetto scenico, la rappresentazione è stata anche fisica, con effetti percussivi, sussulti, con l’affollamento delle anime dinanzi a Caronte e con il turbinio della bufera che sospinge in eterno gli innamorati Paolo e Francesca. Le voci si sono turnate, mescolate e sovrapposte alla pari delle mani, dei piedi e dei corpi, in una luce soffusa che lasciava percepire lo sconvolgimento, la frustrazione e l’ansia dei dannati.
«Questo Studio – le parole di Munaro e Ferrantini – ha coronato il lavoro avviato negli scorsi anni con il Liceo Scientifico Paleocapa: si tratta di una pedagogia estetica che vuole proprio toccare la sensibilità di oggi e recuperare l’autentico valore del teatro come incontro. È stato entusiasmante proporre la parola dantesca ai giovanissimi, perché la facciano propria, la possano abitare, vivere, percepire con tutti i sensi. Il testo è stato proposto in modo integrale, sfidando il pregiudizio che reputa la parola di Dante Alighieri troppo alta o troppo lontana o troppo arcaica per poter essere compresa fino in fondo e restituita da un gruppo di giovanissimi attori».
Alla fine di ogni rappresentazione, sono stati proprio i ragazzi a sottolineare il valore dell’attività, che hanno accostato ogni settimana al lavoro scolastico. «Dopo tre anni di lavoro – ha detto Filippo – sento che questa è una drammaturgia completa, un lavoro che mi ha permesso di crescere in competenza e sicurezza, oltre che in preparazione artistica».
Raffaele e Benedetta, al loro primo anno di corso, hanno evidenziato la potenza delle emozioni che ha suscitato l’esperienza attoriale. «Questo modo di fare teatro – hanno aggiunto – migliora il rapporto di ognuno di noi con se stesso e con gli altri, migliora la fiducia nelle relazioni e nell’incontro».
Il progetto ha dunque raggiunto tutti gli obiettivi formativi, culturali e orientativi che si era proposto, si è rivelato un modo per facilitare l’incontro, la conoscenza di sé, la consapevolezza del proprio essere in relazione al mondo circostante. L’attività teatrale ha infatti sposato perfettamente il percorso di crescita e di maturazione attraverso la sua prerogativa più antica, l’incontro. I ragazzi hanno sviluppato una capacità empatica, hanno migliorato la capacità comunicativa e la sicurezza del porsi dinanzi agli altri.