ROVIGO – La città ha celebrato il Giorno della Memoria. Diverse le iniziative organizzate per commemorare questa giornata in ricordo dello sterminio delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. A partire dalla cerimonia nella sala consiliare della Provincia, con la presenza delle autorità civili e militari, di alcune rappresentanze delle scolaresche e con l’intervento di Adolfo Locci, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Padova. Non dimenticare e non restare indifferenti a queste tragiche pagine della nostra storia per fare in modo che non si possano più ripetere, sono i pensieri ribaditi da tutti gli intervenuti. Durante la cerimonia sono state consegnate anche quattro medaglie d’onore conferite dal presidente della Repubblica alla memoria dei cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti.
A seguire, si è tenuto un momento di commemorazione, davanti alla lapide del Cimitero Ebraico in piazzale Soccorso, alla pietra d’inciampo che ricorda Luigia Modena e alla lapide posta all’ingresso di piazzetta Annonaria in via X Luglio.
Di seguito l’intervento del sindaco Edoardo Gaffeo.
«Di fronte alla Shoah, la prima reazione che ci assale è il silenzio.
Come possono le parole descrivere gli orrori insondabili dell’Olocausto? Come può ognuno di noi comprendere appieno il terrore subito dalle vittime di questo abominevole crimine contro l’umanità, senza precedenti e senza pari per portata e atrocità? Come possiamo andare oltre i luoghi comuni e trarre insegnamenti significativi per far sì che questo non accada mai più? Non è per nulla facile parlare. Ma è impegnativo.
Come ha sostenuto Sami Modiano “non c’è definizione per spiegare Birkenau. Credevo non mi avrebbero creduto”. Un luogo, Birkenau – insieme a molti altri -, che è diventato il simbolo dell’abisso dell’umanità, del periodo più buio della nostra storia, del punto più basso della nostra civiltà. Ma anche un simbolo di tenacia.
Le storie dei sopravvissuti, di coloro che sono stati torturati e trucidati nei campi di concentramento e nei lager – ma anche le storie di coloro che sono stati costretti con la forza a costruirli, quei lager, come il Signor Dino Rava che il 9 settembre 1943, giorno del suo ventesimo compleanno, venne catturato e deportato in un campo di prigionia a Norimberga e fino all’aprile 1945 costretto ai lavori forzati – testimoniano l’incommensurabile forza del popolo ebraico. Testimoniano la resilienza e la determinazione di persone private del cibo, private della loro umanità, costrette a vivere e a costruirsi una nuova vita dopo l’Olocausto. Per rifiutarsi di diventare un semplice numero. E qui sta l’importanza del ricordo, oggi e in tutti gli altri giorni dell’anno.
I sopravvissuti all’Olocausto ci ammoniscono ad evitare che la storia si possa ripetere, rivisitando e condividendo instancabilmente le loro storie dolorose. Il dovere di non lasciare mai che la loro memoria si affievolisca, il dovere di ricordare, è un dovere che spetta a tutti noi. Dobbiamo continuare a raccontare le loro storie e a raccontarle come sono realmente accadute. Questa deve essere più di una promessa. Dobbiamo renderci conto che la Shoah non è solo storia, è la nostra storia.
Per chi è giovane, è pericolosamente facile pensare all’antisemitismo come a una cosa del passato, o come a un problema esclusivamente ebraico. Può maturare l’illusione che l’Olocausto sia qualcosa di molto lontano, qualcosa che è accaduto lontano dalle nostre case, qualcosa che è accaduto solo nei campi di concentramento e nelle fosse di fucilazione nei territori occupati dai nazisti in Europa orientale. Ma la storia dell’Olocausto è universale e al tempo stesso è la nostra storia locale. Una storia che ognuno di noi deve scoprire, riscoprire e interiorizzare.
Un terzo degli europei conosce poco o nulla dell’Olocausto, uno su 20 non ne ha mai sentito parlare. Il 15% degli italiani pensa che l’Olocausto non sia mai esistito. È quindi fondamentale investire nell’educazione e nella sensibilizzazione. Insegnare ai nostri bambini, informare i nostri cittadini, formare le coscienze sull’Olocausto, ma anche sulle molte forme di antisemitismo che ancora oggi affliggono le nostre società. Dobbiamo continuare a ricercare e registrare i fatti e a renderli disponibili. In questo modo, possiamo resistere con successo ai tentativi di coloro che cercano di riscrivere il passato per ragioni di convenienza politica. Chi nega o distorce l’Olocausto mette in discussione tutte le conquiste degli ultimi 78 anni. Ognuno ha diritto alla propria opinione, ma non ai propri fatti.
Nulla giustifica l’antisemitismo, sia che esso provenga da neonazisti o estremisti politici o religiosi; o che venga travestito da revisionismo storico. O che venga usato come espressione di odio indiscriminato nei social media o negli stadi. Dobbiamo denunciare l’antisemitismo in tutte le sue forme. Perché la Shoah non è iniziata nelle camere a gas. Né purtroppo l’antisemitismo è scomparso con l’evacuazione dei campi di sterminio nazisti. L’Olocausto è stato il culmine di migliaia di anni di discriminazioni, persecuzioni e pogrom contro le comunità ebraiche. L’accumulo di decenni di indifferenza nei confronti di menzogne, leggi e regolamenti assurdi, palesi ingiustizie – semplicemente perché riguardavano “gli altri”.
Signore e signori, come ci ha raccomandato Marian Turski, sopravvissuto all’Olocausto, dobbiamo ricordare che la Shoah non è “caduta dal cielo”. Che la disumanizzazione è iniziata con divieti apparentemente insignificanti: impedendo agli ebrei di sedersi sulle panchine di un parco, o di fare la spesa durante le ore diurne, o di andare in piscina. Che nel riconoscere come il fondamento della tradizione giudaico-cristiana, comune a tutti noi, sia racchiuso nei dieci comandamenti biblici, dobbiamo spingere le nuove generazioni ad aggiungerne un undicesimo: “Non essere indifferente”.
Prendiamo a cuore questo messaggio. Contro il flagello dell’antisemitismo, non possiamo – e non vogliamo – rimanere indifferenti. Mai più».