Il patriarcato raccontato da Barbara Buoso nel romanzo “L’ordine innaturale degli elementi”

L’autrice a Palazzo Casalini ospite della rassegna “Quello che le donne scrivono” ha presentato il suo romanzo e ha parlato della scrittura come terapia, mezzo di riscatto e di rinascita personale

Nella foto, da sinistra, Chiara Paparella, Barbara Buoso ed Elisa Barion

ROVIGO – Presentato a Palazzo Casalini “L’ordine innaturale degli elementi”, il romanzo dell’autrice Barbara Buoso, edito da Baldini+Castoldi (2014). «Senza dubbio alcuno, un libro interessante e vero come colei che lo ha scritto», queste le parole di Chiara Paparella, l’ideatrice della rassegna “Quello che le donne scrivono”, nell’introdurre la quarta serata ed ennesimo sold-out del ciclo di incontri letterari al femminile, nato dalla proficua collaborazione tra l’Associazione Culturale “CRAMS” e BVR Banca Veneto Centrale.

«La nostra associazione – ha spiegato Paparella – da qualche anno è particolarmente attenta alle questioni relative all’inclusione e alla parità di genere proprio in ambito culturale. A nessuno può sfuggire il poco spazio offerto alle scrittrici, soprattutto a quelle locali, nelle librerie, nelle rassegne e negli eventi letterari che si sviluppano sul territorio. La nostra iniziativa nasce proprio con l’obiettivo di puntare i riflettori su queste autrici, nate o residenti o formatesi culturalmente in Polesine, capaci di raccontare e presentare nuovi punti di vista e modi di pensare, che tengano conto e valorizzino l’approccio diverso delle donne al mondo. Ringrazio BVR Banca Veneto Centrale per aver creduto nel nostro progetto».

A condurre la serata e a interloquire con l’autrice è stata poi Elisa Barion. Tra l’autrice e la giornalista è scaturito un dialogo molto intenso e coinvolgente, che ha condotto il numeroso e attento pubblico presente in sala a confrontarsi con le vicende di Caterina, la giovanissima protagonista della storia narrata dalla Buoso.

«Oggi è normale sentir parlare di patriarcato e maschilismo, due aspetti socio-culturali che permeano le nostre società, ghettizzando uomini e donne in ruoli e stereotipi di genere che ne soffocano la libertà – ha detto Elisa Barion, nel presentare la protagonista della serata – Ebbene, Barbara Buoso in questo libro, scritto ben 10 anni fa, attraverso la storia di Caterina gettava già allora una pesante accusa proprio a quella cultura patriarcale, sviscerandone i tantissimi risvolti che caratterizzavano un mondo contadino lontano e vicinissimo: il Polesine degli anni Settanta».

Il libro, infatti, offre uno sguardo attento e lucido che, con una particolare attenzione a persone, luoghi e profumi, racconta le vicende di Caterina, l’unica femmina in una famiglia di quattro fratelli. La bambina cresce in un mondo segnato da violenze e molestie, che non riescono però a piegare la sua volontà, il suo desiderio di vivere, il suo essere libera contro tutto e tutti.

Ogni pagina del romanzo è colma di dettagli ed aneddoti da cui traspare una forte componente ironica dell’autrice, mai sarcastica e dotata di un’ottima capacità descrittiva che consente al lettore di entrare passo passo nelle vicende narrate e vivere, seppur idealmente, una realtà che appare assai lontana. Caterina è una bambina che ci accompagna in una modalità di vita ormai desueta, in un mondo dove la casa colonica e la campagna circostante rappresentano una sorta di palcoscenico a cielo aperto nel quale le persone sono sia attori che spettatori e dove i problemi economici, derivanti da contratti di mezzadria capestro, sono i veri padroni del tempo.

Il libro, presentato in Polesine per la prima volta a dieci anni dalla sua pubblicazione, affonda le sue radici nella storia della stessa Barbara Buoso, che attinge in gran parte alla propria esperienza personale.

Le vicende narrate nel romanzo risultano addolcite da una sottile venatura umoristica, in grado di far scaturire un sorriso amaro frutto di una riflessione sulla situazione di contrasto tra la realtà delle cose narrate e l’ordine naturale degli elementi e degli affetti. Sembra quasi di essere di fronte a una sorta di “sentimento del contrario” di Pirandelliana memoria. Allo stesso modo, sebbene i fatti narrati presentino una realtà cruda, dalle parole espresse dall’autrice nel corso della serata, non è comparso alcun segno di rassegnazione e nemmeno di odio o rancore.

«Oggi sono tornata a casa. A Rovigo ho trascorso la mia giovinezza, ho imparato a montare un film, a proiettarlo, a non far scorgere allo spettatore lo stacco a metà», ha commentato l’autrice nel corso dell’incontro.

Sembra di vederla, impegnata come proiezionista e maschera al Cinema Don Bosco, dove don Giulio Bernardinello l’aveva chiamata a lavorare, perdersi nei suoi sogni di aspirante scrittrice di fronte al naturale scorrere della pellicola. Proprio al Centro Don Bosco di Rovigo ebbe a conoscere quello che lei ha definito uno dei suoi autori preferiti: Gian Antonio Cibotto, che, quando arrivava la sera con la sua cagnolina, la salutava dicendole «buona sera fanciulla».

Forse non è proprio casuale se, come in Cibotto, anche in Barbara Buoso il Polesine è sempre presente. Questa terra, con la sua natura, le sue gioie e i suoi dolori, fa da ispiratrice e sfondo alla storia e alle esperienze di vita che vengono narrate in questo suo romanzo. Anche il dialetto, lingua viva e sinonimo di spontaneità, è sempre qui presente.

Dentro la storia di Caterina c’è un’infanzia dolente e negata. Ma se a primo impatto il racconto sembra destinato a vedere l’inevitabilità del male trionfare, a ben vedere, vi è anche tratteggiata una vera opera di riscatto. In breve, una speranza di salvezza c’è. Per la scrittrice, due sono stati gli strumenti che le hanno consentito di giungere alla “liberazione”: la scuola e la scrittura. «Soprattutto la scrittura mi ha aiutata a capire che ciò che è stato non si può in alcun modo cambiare o cancellare. Ma noi siamo qui e dobbiamo comunque andare avanti», ha sottolineato l’autrice.

Mentre Barbara Buoso dialogava in modo franco e affabile e con Elisa Barion, nell’aria si percepiva l’emozione che traspariva dalle sue parole. In sala, tra i tanti che non la conoscevano, c’erano i volti di diversi amici e amiche venuti apposta ad accoglierla. Bello ed emozionante aver visto alcuni dei suoi ex insegnanti abbracciarla alla fine della serata.

Ottima l’intesa tra l’autrice ed Elisa Barion. La loro conversazione è riuscita a ben delineare i tratti distintivi di un racconto nel quale, i “diversamente giovani” sono riusciti a ritrovare abitudini e modus vivendi diffusi un tempo tra l’Adige e il Po, mentre i ragazzi hanno avuto l’opportunità di scoprire quanto le donne abbiano sofferto la loro posizione di genere prima di ottenere una parità di considerazione e trattamento sociale, anche in quel microcosmo familiare che dovrebbe essere luogo di rifugio e protezione.

La serata si è conclusa tra gli applausi del pubblico e il tradizionale firmacopie.

La rassegna, che vanta il patrocinio della Regione Veneto, della Provincia e del Comune di Rovigo e della Consigliera Provinciale di Parità, proseguirà tutti i giovedì fino al 12 dicembre. Il prossimo appuntamento è in programma giovedì 21 novembre sempre a Palazzo Casalini – alle ore 17.30 – con Beatrice Di Meo e il suo ultimo romanzo: “Indagine alla villa. Eros nel conflitto eterno dell’amore”. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Flavia Micol Andreasi.

La rassegna “Quello che le donne scrivono”, giunta alla sua seconda edizione, intende configurarsi come un percorso volto a coniugare la scoperta della scrittura al femminile polesana con l’approfondimento della conoscenza dell’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 5 dell’Agenda 2030, quello sulla “Parità di genere”, incentrando gli appuntamenti su tematiche che coinvolgono la vita quotidiana.

Info:
Associazione Culturale CRAMS
Tel. 328.4532974
Mail: segreteria@associazionecrams.it