ROVIGO – «Il ’22 delle grandi mostre a Rovigo conferma il modello brillantemente collaudato negli ultimi due anni», annuncia il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Gilberto Muraro. «Ovvero: una mostra d’arte di rilievo internazionale, una seconda di fotografia al Roverella. E due mostre di argomento territoriale, anche se di interesse molto più esteso, al Roncale».
«È una formula che ha mostrato di piacere molto al pubblico, con una programmazione che si è guadagnata un prestigio nazionale riconosciuto», sottolinea il Presidente, ricordando che questo ’21 era stato inaugurato, nella sua stagione primaverile, dall’abbinata “Vedere la Musica”, al Roverella e da “Quando Gigli, la Callas e Pavarotti… I Teatri del Polesine” al Roncale. La proposta della stagione autunnale, adesso in pieno svolgimento, sta proponendo “Robert Doisneau”, al Roverella, e “La Grande Alluvione. 70 anni dopo”, al Roncale.
«Le due esposizioni primaverili – ricorda il professor Muraro – hanno fisiologicamente risentito della situazione pandemica, che ha limitato l’affluenza. Ma sono state fortemente apprezzate dalla critica. Quelle in corso – Doisneau e La Grande Alluvione – hanno fatto centro, con afflussi da record e straordinaria attenzione mediatica».
Con questa premessa, il Presidente annuncia il tris di grandi eventi che la Fondazione ha in programma per il ’22. «Un tris e non un poker – evidenzia il Presidente – perché è ancora in fase di definizione la mostra fotografica autunnale al Roverella».
«Si partirà, in primavera, con una originale e qualificata monografica dedicata a Wasiliy Kandinskiy al Roverella (dal 26 febbraio al 26 giugno) e, al Roncale (dal 12 marzo al 26 giugno), il racconto della singolare vicenda di “Giovanni Miani. Il leone bianco del Nilo“». L’appuntamento d’autunno del Roncale sarà invece riservato alla rievocazione della grande storia del Rugby a Rovigo.
Ad aprire la stagione espositiva rodigina sarà quindi l’artista che è passato alla storia universale dell’arte come l’inventore dell’astrattismo: Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, Parigi, 1944). Paolo Bolpagni e Evgenia Petrova hanno scelto di presentare l’artista nell’intera sua storia, da quando abbandona la Russia per studiare pittura a Monaco di Baviera, poi il suo approdo a Marnau, sempre in Baviera, e la scoperta dello “spettacolo spirituale dell’arte”, quindi gli anni del “Cavaliere azzurro”, la conquista dell’astrattismo, il ritorno in Russa e quello a Weimar, docente al Bauhaus e artista che accorda ai simboli e ai colori il suo messaggio, anche spirituale. Quindi il Kandinskij più leggero e giocoso degli ultimi suoi anni in Francia.
«Dopo numerose mostre dedicate a Vasilij Kandinskij, sempre più mirate a porne in risalto singoli aspetti o ad offrire chiavi di lettura volutamente parziali, l’obiettivo di questo progetto è di aiutare a cogliere l’arco unitario del percorso dell’artista, individuandone le costanti che, dai primi anni del Novecento sino alla fine, innervano il suo modo personalissimo di dipingere: la ricerca di un’autenticità interiore, la volontà di creare un mondo visivo nuovo e libero, il riferimento alla musica, l’irrazionalismo spiritualistico e il legame con l’arte popolare russa e soprattutto con le espressioni creative “sciamaniche” dei popoli della Siberia, le cui tracce agiscono alla stregua di un fil rouge che appare, scompare e riaffiora. Mostrando il graduale passaggio dalla figurazione all’astrazione: la chiave di volta di una delle rivoluzioni più radicali della pittura della prima metà del XX secolo», sottolineano i curatori.
L’affascinante appuntamento primaverile di Palazzo Roncale è con “Giovanni Miani. Il leone bianco del Nilo”, a cura di Mauro Varotto. Per la prima volta ad essere soggetto di una mostra il rodigino Giovanni Miani, un Indiana Jones dell’Ottocento, l’uomo che dedicò la sua vita alla scoperta delle sorgenti del Nilo. L’esposizione cade nel 150° anniversario dalla sua morte, avvenuta nel novembre del 1872 a Nangazisi, nell’attuale territorio del Congo.
«Tra storia, geografia ed etnografia, la mostra intende raccontare la vicenda di questo personaggio irrequieto e fuori dagli schemi, di indomito coraggio e volontà ferrea, amante del rischio e dell’avventura, sfortunato inseguitore di grandi ideali come occasione di riscatto sociale», anticipa il curatore.
L’autunno del Roncale si tingerà invece dei colori rosso e blu, per raccontare l’epopea del rugby a Rovigo e nell’intero territorio. “L’ovale rossoblu. Il rugby in Polesine” sarà il titolo della mostra curata da Ivan Malfatto, Willy Roversi e Antonio Liviero.
È fuori discussione che sia l’intero Polesine ad identificarsi con la sua squadra di rugby. Qui la palla ovale ha il ruolo che altrove ha il calcio. E il Polesine dimostra questa sua identificazione con i fatti e non solo con le discussioni al bar: basti osservare la mobilitazione della tifoseria sia al Battaglini che in trasferta, caso unico in Italia. In casa si parla di rugby e i bambini crescono con il mito della palla ovale. Il mito e – soprattutto – i valori. Le vittorie, le vicende di questa Società hanno certamente appassionato il mondo del rugby, ma non c’è dubbio che si siano riverberate anche al di fuori di esso. Influenzando positivamente la percezione di Rovigo e del Polesine a livello nazionale e anche internazionale. Per questo la mostra non sarà una mera (pur meritata) celebrazione di partite e vittorie ma un’occasione per capire, e far capire, l’unicità del fenomeno del rugby in queste terre.