ROVIGO – Il secondo appuntamento con “Jazz Nights at Casalini’s Garden 2019”, la rassegna organizzata da RovigoBanca e dal Dipartimento Jazz del Conservatorio rodigino, ha proposto giovedì sera ancora un doppio concerto. La serata è stata aperta dal “Blue Flow Ensemble” di Sara Simionato e chiusa dall’atteso piano solo di Danilo Rea, che non ha certo bisogno di esser scoperto oggi: da trent’anni ai vertici del jazz, non solo italiano, è fra i pochi musicisti davvero trasversali, apprezzato, oltre che dagli appassionati di jazz anche da un pubblico più vasto, grazie alle collaborazioni con alcuni dei più importanti interpreti della canzone italiana, primi fra tutti Mina e Gino Paoli, ma anche della musica colta, come il pianista iraniano Ramin Bahrami. In un percorso artistico iniziato a soli diciott’anni, nel 1975, con il Trio di Roma, insieme a Enzo Pietropaoli e Roberto Gatto, e passato per gruppi storici del jazz italiano (New Perigeo, Lingomania, Doctor 3), il piano solo ha cominciato ad occupare una parte sempre più importante del mondo espressivo di Rea a partire dal 2000, con la pubblicazione dell’album “Lost in Europe”.
Un pianista in stato di grazia, come raramente mi è capitato di ascoltare, forse toccato dal sentirsi parte di un tributo a Marco Tamburini, con cui ha diviso più volte i palcoscenici ma che è stato soprattutto un grande amico, ha dato fuoco alle polveri dell’ispirazione incantando il pubblico attento e partecipe che ha riempito il Giardino di Palazzo Casalini come si usa fare nelle serate importanti. Alla fine di un unico lungo set, affrontato tutto d’un fiato, diviso in pochi lunghi blocchi di improvvisazioni su temi non decisi a tavolino ma frutto dell’ispirazione del momento, Danilo Rea ha confermato di essere in possesso non soltanto di una tecnica superlativa ma di una fervidissima fantasia improvvisativa e di uno squisito gusto melodico. Si sono ascoltate, di fatto, delle lunghe avvincenti medley in cui i temi – ricavati sia dal repertorio del jazz che della musica popolare – si rincorrevano l’un l’altro, dissolvendosi per poi tornare a far capolino, come in uno straniante gioco di specchi. C’è stato un blocco a più forte connotazione jazzistica, dove il pianista è volato dall’Armstrong di What a wonderful world a Thelonious Monk, passando per il Frank Sinatra di Fly me to the moon. Non è mancata una lunga medley dedicata a temi più lirici e lenti, dove un sentito tributo a Fabrizio De Andrè (La canzone di Marinella, La canzone dell’amore perduto) ha poi ceduto il passo a Moon River, per chiudersi a sorpresa con una scanzonata e divertente citazione di Hei–Ho, dalla Biancaneve di Walt Disney. Il passaggio forse più riuscito ed emozionante è stato per chi scrive quello fra la beatlesiana Here comes the sun e l’immortale Over the rainbow. Dopo aver superato brillantemente le insidie del Battisti di Emozioni ed aver omaggiato l’indimenticato Michel Petrucciani con il trascinante swing di Little peace in C for U, condito da una citazione del calipso rollinsiano di St.Thomas, tutto potevamo aspettarci fuorché una rilettura della melanconica Tears in Heaven, di Eric Clapton.
Aveva aperto la serata l’ottetto della giovanissima cantante Sara Simionato, allieva del Conservatorio Venezze, protagonista di un interessante progetto basato su arrangiamenti originali, dal sapore impressionista, di brani di Duke Ellington (Azure), Gil Evans (Where flamingos fly), Domenico Modugno (Vecchio frac). Ma la vocalist ha proposto anche My life is now, ballad di Marco Tamburini cui ha voluto aggiungere un testo, ed una sua bella composizione, Dimlight. Se morbide e particolarmente riuscite sono state le trame della sezione di fiati, con Chiara Parolo, clarino, Tommaso Troncon, sax tenore, Francesco Salmaso, sax baritono, e Federico Zoppi, sax alto, che ha sostituito all’ultimo momento Alessandro Bolsieri, altrettanto efficace si è rivelata la sezione ritmica, formata da Francesco Pollon, piano, Marco Vavassori, contrabbasso, Cristian Tiozzo, batteria.
Ed ora “Jazz Nights at Casalini’s Garden” è pronta per l’attesa serata di mercoledì 10 luglio, che vedrà l’assegnazione del quarto Premio Marco Tamburini, con il sassofonista Javier Girotto presidente della giuria ed ospite speciale sul palcoscenico per una breve esibizione con il trio formato da Stefano Onorati, pianoforte, Stefano Senni, contrabbasso, e Stefano Paolini, batteria, tutti docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio rodigino.