ROVIGO – È stata inaugurata sabato 5 ottobre la personale del pittore Francesco Scarfone allestita allo Studio Arte Mosè di Rovigo, in via Fiume 18, nel cuore del capoluogo polesano, alla presenza di un attento pubblico di appassionati di arte e rappresentanti del mondo della comunicazione del territorio.
L’artista nato in Sicilia, consegue la laurea in biologia ed esercita la professione di ricercatore nel trevigiano, dove vive. Fin da giovanissimo ama la pittura e il disegno.
«L’incontro, un anno fa, con Francesco Scarfone – dichiara il curatore Vincenzo Baratella – è stato un’occasione della collettiva a tema sul San Giorgio, presentata a Ferrara da Lucio Scardino». La rassegna approdata allo Studio Arte Mosè ha fatto conoscere al pubblico rodigino Francesco Scarfone, che si è autoritratto nelle vesti del Santo attanagliato dal drago; occasione, questa, di porsi al centro nella perpetua indagine di una identità artistica.
È proprio nella ricerca nel frammisto, variegato, mondo delle correnti che Francesco ripercorre e sperimenta. È innanzitutto un provetto disegnatore. Una volta interpretato l’oggetto, solitamente teste, figure, libera una linea marcata con il colore, un accostamento deciso a Guttuso, conterraneo, per rendere efficace la lettura della grafica e la totalità del soggetto rappresentato.
È un disegno pieno di emozione, quello di Scarfone, capace di far scaturire molteplici sensazioni. L’artista siciliano ha un’essenza di vita artistica autonoma, nonostante alcuni tratti esecutivi di spontanea immediatezza rimandino a Schiele; la linea marca le figure con la fluidità del grande austriaco e nei punti su cui scendono sulla carta o sulla tela le colature si vede il tratto distintivo e immediato di Scarfone.
C’è in Francesco la decisione di una perentoria scrittura giapponese per esprimere sensazioni criptate dell’anima. Una narrazione di grafemi distintivi nella ricerca pulita attorno al rapporto linea-spazio al fine di delineare volumi in un cromatismo che rimanda alla terra natale con la solarità dei gialli, dell’ocra.
I colori vengono stesi a spatola direttamente dal tubetto per non violare di vive marcature che solo le tinte pulite possono rendere nonostante la sovrapposizione dei pigmenti. Con la spatola raschia e modella, strato su strato, per consentire al soggetto rappresentato di emergere plastico.
È un lavoro di tempo, di meditazione, per delineare il paesaggio, la figura umana, la natura morta. La sensualità dei corpi e il tocco deciso di spatola, grasso nella consistenza del colore, riporta indubbiamente al realismo della pittura tedesca, meglio identificata nell’oggettività. L’esecuzione tecnica degli oli di Francesco, materica, a volte priva di una continuità di stesura, rende il soggetto soffuso, sfuocato tipico di una poesia che rimanda a Rembrandt.
La mostra, curata da Vincenzo Baratella, a ingresso libero, sarà visitabile fino al 24 ottobre tutti i giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle 16,30 alle 19,30.