ROVIGO – Mancano infermieri in provincia: nel settore pubblico, in quello privato e nelle Rsa. E la pandemia non ha fatto altro che esasperare il problema facendolo emergere in tutta la sua fragilità. Così la casa di cura “Città di Rovigo”, con l’annesso centro servizi anziani e il presidio ospedaliero “Madonna della salute” di Porto Viro, hanno organizzato ieri sera in collaborazione con Opi (Ordine delle professioni infermieristiche) di Rovigo un incontro rivolto ad infermieri o laureandi in scienze infermieristiche per far conoscere le prospettive occupazionali all’interno delle tre strutture.
«È la prima iniziativa di questo tipo organizzata in assoluto da noi – spiega l’Ad delle case di cura Stefano Mazzuccato – Il settore privato accreditato sta subendo in maniera ancora più pesante la carenza di personale infermieristico. Sta emergendo infatti un fenomeno assolutamente nuovo: i neolaureati vengono intercettati in gran numero dal settore pubblico che a sua volta deve fare i conti con una carenza di infermieri legata alle conseguenze della pandemia e dei numerosi pensionamenti. L’iniziativa è un modo comunque per far conoscere le possibilità di occupazione presso le nostre strutture: ci sono molteplici possibilità con tutte le garanzie tipiche di un posto “fisso”. La nostra previsione, anche in considerazione dell’invecchiamento della popolazione, è di un maggior bisogno all’interno dei nostri organici, di infermieri. Ed alcune assunzioni potrebbero partire da subito».
«La situazione è drammatica a Rovigo come nel resto d’Italia – spiega il presidente di Opi Rovigo, Denis Piombo – Inoltre, la professione infermieristica non è più attrattiva e appetibile come in passato. Basti solo pensare che, a suo tempo ed in considerazione delle carenze di personale, ci eravamo attivati presso la regione ed il Miur per ottenere un aumento del numero di posti all’interno dei corsi laurea in scienze infermieristiche. L’aumento dei posti è stato concesso, ma gli studenti sono in numero inferiore alle disponibilità. I motivi di questo scarso appeal? Essenzialmente due: il primo è il carattere “piatto” della professione, con scarse possibilità di progressione di carriera, il secondo è il mancato riconoscimento economico delle competenze maturate negli anni anche attraverso la frequenza di master di specializzazione».